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"Siamo quello che mangiamo". Scegliere il modo di nutrirsi e usare l'alimentazione come cura alternativa alla medicina tradizionale è un gesto di rottura verso il sistema. Imparare ad alimentarsi significa mettersi in ascolto del proprio corpo e vivere in armonia con le sue reali necessità, scardinando le credenze abusate e la tendenza a curare i sintomi ma non le cause. Prenderne coscienza e mettere in atto una disciplina può assumere inaspettatamente un forte significato politico. Ma Giorgio non lo sa ancora. Dovrà partire dall'esperienza in fabbrica, e dal formarsi di una coscienza sindacale, per riflettere sui rituali alienanti e le cattive pratiche di quel microcosmo che si fa specchio dell'intera società. Sono gli anni Settanta e, complice la fervida coscienza ideologica dell'epoca, nella vita di Giorgio cominciano a insinuarsi dubbi profondi sulle relazioni fra individui e sulla dimensione politica dell'agire umano; la macrobiotica, ai suoi albori, si profila come strumento culturale per una rivoluzione pacifica che metta in atto esistenze non artificiali. I dubbi di Giorgio si faranno portatori della sua stessa guarigione: la sua vicenda privata, contaminata da pagine nere della storia italiana - dallo scandalo Montedison alla strage di Stava, al terrorismo - diventa la storia di un uomo salvo che sceglie la cura di sé e dell'ambiente, in un tempo umano dell'esistere con gli altri e per gli altri.